Una buona occasione del Kosher italiano nelle tavole del mondo
Dario Ujetto - News Italia Press.
Tel Aviv - novembre 2004
La Fiera Alimentare Internazionale IsraFood 2004 che si svolge a Tel Aviv ogni anno, è la principale in terra d'Israele nel suo genere , disposta su 4000 mq, visitatori stimati sono 22.000 unità l'evento era aperto ai soli operatori dei settori agricolo e della ristorazione, con circa 650 aziende provenienti da tutto il mondo.
La Camera di Commercio e Industria Israel-Italia (CCIE) di Tel Aviv, l'Istituto per il Commercio Estero (ICE) in Israele e l'Ufficio commerciale dell'Ambasciata d'Italia in Israele hanno collaborato per la creazione dello spazio espositivo, interno a IsraFood, "Casa Italia ", con l'obiettivo di promuovere la produzione italiana principalmente nel settore kosher.
"Il kosher italiano è poco conosciuto al di fuori della cultura ebraica – sostiene Mihal Ben Dayan, responsabile Desk Internazionale della CCIE israeliana – ma abbraccia i prodotti tipici della filiera tricolore ed aziende di grandi, medie e piccole dimensioni". La normativa alimentare ebraica affonda le sue origini nella Bibbia, in cui il Pentateuco stila una lista di animali e volatili vietati. Ai giorni nostri, in base ad una legislazione poggiante sui migliaia di scritti della tradizione, solo i rabbini delle comunità ebraiche possono rilasciare alle aziende richiedenti la certificazione.
"Un rabbino specialista si reca in azienda – spiega Ben Dayan – e dopo aver controllato le modalità di produzione e il non utilizzo di sostanze proibite (es. enzimi provenienti dallo stomaco di maiale) autorizza l'imprenditore a vendere il prodotto sotto il marchio di certificazione tradizionale. Sul mercato esistono migliaia di prodotti certificati ed anche le più grandi multinazionali si attengono ad usi e tradizioni millenarie".
Annualmente, il consumo dei prodotti kosher nei soli Stati Uniti (mercato di riferimento, ndr ) ammonta circa a 150 miliardi di dollari (stima Italy Kosher Union,IKU), con trend di crescita sia in Europa che in Israele.
L'Italia conta 150 produttori dotati di certificazione (stima Italykosher.com), per un fatturato aggregato di 340,326 milioni di dollari, dalla Barilla (formati di semola senza uova) alla Lavazza (caffè in capsule) fino ad aziende semi-artigianali come la Iolanda Decolò (produzione di prosciutto d'oca) e l'Antica Tostatura Triestina (caffè). Le Regioni a più alta densità di presenza sono il Friuli Venezia Giulia (per prodotti tradizionali ed emergenti), il Piemonte (per il vino) e l' Abruzzo.
"Il mercato interno italiano delle comunità ebraiche – spiega l'italico Yossef Hadad, Responsabile dell'associazione per la promozione del consumo kasher - Italy Kosher – è alquanto limitato. Ma gli imprenditori italiani del segmento hanno capito che la vera convenienza era l'esportazione e hanno così legato tradizione ebraica e qualità italiana. I prodotti italiani sono così presenti negli Stati Uniti, in Canada, in Francia ed in Inghilterra".
Il Friuli Venezia Giulia, non solo per la presenza di una grande tradizione culturale ebraica, si conferma la zona di produzione più "matura" nel segmento kosher. "Il Friuli è il maggior esportatore di farina di granoturco per la produzione del Bamba – spiega Lello Dell'Ariccia, Presidente di Dell'Ariccia Consulting e rappresentante del Friuli Venezia Giulia in Israele per il settore alimentare –, cibo tradizionale della cultura ebraica. Sul territorio sono presenti aziende proponenti prodotti emergenti (come la grappa o il prosciutto d'oca, ndr ) o in fase di lancio sul mercato (la nuova miscela kosher della "Illy Caffè", ndr )".
Nonostante le esportazioni di cibi kosher rappresentino il 3,65 % dell'interscambio Italia-Israele (51,1 milioni di dollari su 1,4 miliardi nel 2003, fonte ICE), i principali mercati di sbocco si confermano Stati Uniti ed Europa. Dati del 2003 (fonte IKU) registrano le quote di esportazione della produzione italiana: Stati Uniti 40% (136,130 mld), 15% Israele, 10% Francia, 25% Resto d'Europa e una stima 5-8% in consumo interno italiano.
Il futuro della produzione italiana kosher passa attraverso lo sviluppo di due fattori: l'allargamento del consumo alle fasce non ebraiche e il perseguimento della qualità. " Già oggi i prodotti certificati vengono acquistati da individui di religione musulmana e da vegetariani – spiegano in Italy Kosher Union, agenzia di consulenza alimentare – e un'ulteriore crescita si avrà con l'aumento dei consumi nelle persone affette da intolleranza al lattosio
E’ parere del Dott. Meyer Piha coordinatore di IKU che la certificazione kosher, inoltre, sarà destinata a migliorare il profilo dei brand italiani sul mercati esteri".
"La nostra partecipazione a IsraFood – spiega Bruno Pessot, Amministratore dell'Azienda Iolanda Decolò– è finalizzata all'instaurazione di contatti per la penetrazione sul mercato locale. Ma la produzione kosher ha un raggio di penetrazione immenso che in alcuni Stati come Francia o America supera anche i confini delle comunità ebraiche".
Negli Stati Uniti, poi, il consumatore comincia già a percepire il marchio di certificazione alimentare ebraica come un'ulteriore garanzia di qualità: "Il prodotto italiano kosher – continua Hadad – viene distribuito non solo nel circuito dei negozi tradizionali ( come avviene in Italia e in quasi tutta l'Europa), ma nelle grandi catene. Il valore aggiunto è la presenza dei marchi di tutela italiani e kosher i quali danno grande prestigio ed influenzano le scelte di acquisto anche
Il futuro del settore si regge altresì sulla bontà di una scelta strategica intrapresa dai produttori kosher negli anni passati. "In un settore fortemente concorrenziale come l'agroalimentare – spiega Dell'Ariccia – la differenziazione di prodotto verso la certificazione kosher premierà i pionieri e continuerà ad attirare anche le grandi aziende. A questa strategia si dovrà legare, in futuro, l'attenzione al prodotto biologico dove l'Italia è già leader. Solo così la quota di mercato potrà ulteriormente allargarsi e reggere la concorrenza anche dei nuovi attori" ( Cina e, in genere, produttori asiatici).
"Il trend di entrata sul mercato di produzione kosher è in crescita e le richieste provengono principalmente dal Centro-Sud". Aprire nuovi mercati è l'imperativo categorico anche per il futuro prossimo venturo: " La strada da battere continuerà ad essere la cura della qualità – spiega D'Eusanio – ma anche lo studio sui dettagli come etichettature e packaging. Il futuro passa anche da un rafforzamento della promozione culturale ebraica capace di allargare il consumo dei cibi certificati al di fuori della comunità. La complementarietà con il prodotto biologico (alcune modalità di produzione sono simili ) può sviluppare economie di scala, liberando risorse per nuove politiche di brand e marketing".
L'impegno italiano all'interno della nicchia kosher può premiare anche il prodotto tricolore non certificato dai rabbini, ma dotato di qualità DOC (vini), DOP (formaggi), DOCG e IGP."Sul mercato israeliano – conclude Mihal Ben Dayan – il prodotto non kosher cresce a ritmi del 20% all'anno.
La certificazione kosher può trasformarsi in uno splendido spot per tutta la produzione di una azienda italiana di qualità".
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