Sala Stampa
Italy Kosher Union
Kosher nel mondo
Una selezione di alcuni articoli apparsi su importanti riviste e con tema il Kosher, la sua importanza e il suo valore.
Continua la crescita del biologico in Italia. Boom di vendite anche dei prodotti vegani, kosher e halal.
È Kashèr Ormai Metà Del Cibo Venduto Nei Supermercati Americani.
http://www.tabletmag.com/podcasts/50535/fit-to-eat/
Il Cibo Kasher Che Piace Ai Non-Ebrei.
Maurizio Molinari
La nuova moda ha prodotto un giro d’affari che arriva ormai a 200 miliardi di dollari. «Gli americani comprano questi alimenti perché sono sinonimo di purezza»
Hot dog «Hebrew National» nel Dolphin Stadium del Super Bowl, corsi sulla macellazione rituale per i futuri agricoltori all’Università del Mississippi, bevande Gatorade autorizzate dal rabbinato e un mercato di prodotti da 200 miliardi di dollari: il cibo kosher dilaga nei supermercati e nelle case degli americani grazie al fatto che a consumarlo sono soprattutto i non-ebrei, ritenendolo ancora più salutare di quello organico.
A descrivere l’entità della nuova moda alimentare sono i numeri. Se in America le vendite di cibo annuali sommano a 500 miliardi di dollari la quota di prodotti confezionati secondo le norme alimentari ebraiche (kosher significa «permesso») vanno da un terzo alla metà, con un considerevole balzo in avanti rispetto a quanto avveniva nel 1993 quando le vendite si fermavano a 32 miliardi. Se a ciò si aggiunge che gli ebrei compongono meno del 2 per cento dei 300 milioni di americani, e che in maggioranza non mangiano kosher, si arriva al boom di acquisti da parte dei non ebrei che, secondo Sue Fishkoff autrice del nuovo «Kosher Nation», scoprirono questo tipo di cibo grazie a uno spot tv del 1972 nel quale si vedeva lo Zio Sam divorare un «Hebrew National» hot dog – di manzo e non di maiale – mentre una voce sullo sfondo diceva «Rispondiamo ad un’Autorità superiore, fidatevi di noi, siamo kosher». Nell’America di Nixon attraversata da proteste e sfiducia fu un messaggio che funzionò per sdoganare un tipo di prodotti fino ad allora con una clientela soprattutto ebraica.
Ma il vero salto di qualità nella grande distribuzione è avvenuto negli ultimi dieci anni a seguito del dilagante timore su contaminazione di cibi, allergie e ingredienti che ha trasformato il «kosher food» in un prodotto sicuro perché arriva in vendita dopo una miriade di minuziosi controlli. L’indagine condotta dal centro di ricerche «Mintel» attesta che «solo il 15 per cento» degli acquirenti sono spinti da «motivi religiosi», mentre per il resto, come spiega Larry Finkel della società di analisi di mercato «Packaged Facts», «il motivo dell’acquisto è la sicurezza alimentare e il timore dei consumatori perché kosher è sinonimo di purezza». E ciò si spiega con il fatto che le leggi alimentari ebraiche includono l’estrazione di tutto il sangue dalle carne, il divieto di mischiare carne e latte, la proibizione totale dei frutti di mare, l’assenza di maiale e lo scrupoloso controllo di ogni tipo di grassi offrendo ai consumatori una garanzia di qualità superiore anche ai cibi organici.
Uno studio della Cornell University attesta che circa il 40 per cento di tutti i cibi in circolazione sono kosher e ciò spiega la scelta delle maggiori catene di supermercati – Wal-Mart, Costco e Trade Joe’s – di offrire questi prodotti sugli scaffali, mentre a New York il popolare servizio di consegne a domicilio FreshDirect afferma che nel 2009 ben il 30 per cento degli acquisti sono stati kosher. Le conseguenze sono a pioggia: si moltiplicano i produttori che vogliono kosherizzare i cibi come anche i rabbini e i controllori specializzati nell’eseguire le verifiche. E all’ateneo del Mississippi i docenti di «scienza del pollame» hanno iniziato a insegnare ai futuri agricoltori le tecniche della macellazione rituale, ebraica e islamica. La tendenza di massa ha resistito anche allo scandalo di Agriprocessors, il maggiore centro di trattamento di carne kosher in America, che nel 2008 è stato chiuso perché impiegava lavoratori clandestini. La decisione di molti clienti di boicottarne i prodotti è stata infatti seguita da un aumento di offerta dei concorrenti
Gli Stati Uniti costituiscono il più grande mercato del mondo per i cibi kosher e negli ultimi anni la richiesta dei consumatori è esplosa.
Boston, 12/3/2010
Leanne Kilroy Borghesi, 12 marzo 2010
I prodotti Kosher alla conquista del Nuovo mondo. Gli americani notoriamente mangiano male ma negli ultimi anni, anche nel paese di McDonald’s e della Coca-Cola, i gusti stanno cambiando. Dopo i recenti scandali sulla contaminazione degli alimenti, mentre il tasso d’obesità e le allergie sono in aumento, il tema è all’ordine del giorno. Queste inquietudini sono state corroborate dalla cultura mass-mediatica con film come Food, Inc. (finalista quest’anno nella corsa all’Oscar come miglior documentario), e i libri di grande successo di Michael Pollan, The Omnivore’s Dilemma (2006) e In Defense of Food (2008). Anche la First Lady Michelle Obama, con il suo orto nel giardino della Casa Bianca e la campagna nazionale contro l’obesità degli adolescenti, si è unita alla crociata per il mangiar sano. Secondo un’indagine effettuata da Mintel, il 70% degli americani dedica un’attenzione crescente alla propria alimentazione. Per molti di essi questo significa procurarsi prodotti con l’etichetta kosher.
Gli Stati Uniti costituiscono il più grande mercato del mondo per i cibi kosher e negli ultimi anni la richiesta dei consumatori è esplosa. Ma cosa si intende con la parola kosher? Per essere considerati kosher i generi alimentari devono adeguarsi ad antiche leggi ebraiche, dette kashrut, che prescrivono, tra l’altro, l’allevamento degli animali e la macellazione effettuate secondo regole tradizionali, la pulizia delle carcasse con sale e acqua, e la proibizione di maiale e frutti di mare, nonché della mescolanza di carne e latticini. Attualmente i cibi trattati possono ricevere la certificazione kosher da rabbini specializzati, i mashgihim, che ne controllano severamente ingredienti e metodi di produzione, spingendosi anche a ispezionare le condizioni igieniche delle fattorie in cui sono prodotti e confezionati (questo non ha peraltro impedito l’affermazione sul mercato mondiale dei produttori di cibi kosher di Pechino). L’etichetta kosher, con tutti i controlli di qualità che essa garantisce, apre le porte ad un mercato il cui valore è stimato superiore ai dieci miliardi di dollari solo negli Stati Uniti. Grazie all’attenta sorveglianza sui prodotti da parte dei mashgihim, molti consumatori ritengono che i cibi kosher – che secondo uno studio recente della Cornell University costituiscono circa il 40% dei cibi venduti nei negozi di alimentari statunitensi – siano meno suscettibili a contaminazioni, di qualità più elevata, e, quindi, più sani. Un altro sondaggio Mintel informa che tre consumatori su cinque comprano kosher in primo luogo per la qualità degli alimenti. Meno di uno su sei, invece, cercherebbe l’etichetta kosher per motivi religiosi.
I cibi kosher sono in realtà ricercati dai consumatori americani non ebrei per svariate ragioni. Alcuni comprano carne kosher perché ritengono che il metodo di macellazione – che prevede una morte quasi istantanea dell’animale – sia più umano. Altri credono – anche se non è scientificamente provato – che il lavaggio della carcassa con acqua e sale riduca il rischio di malattie quali, per esempio, la salmonella. Anche i musulmani, oltretutto, possono scegliere gli alimenti certificati kosher purché siano conformi, come del resto la maggior parte di essi, alle norme halal. Infine c’è chi, come i vegetariani, i vegani, e coloro che soffrono di allergie alimentari, apprezza i cibi kosher poiché segnalano la presenza anche solo di tracce di latticini, carne e glutine. Le autorità ebraiche, però, si dimostrano caute nello stabilire un collegamento tra la parola kosher e il mangiar sano. Gli ebrei che rispettano le leggi kashrut – di provenienza biblica, ma reinterpretate a seconda delle necessità contingenti – lo fanno non per ragioni igieniche: lo scopo finale è di sottomettersi alla volontà divina. Sul sito web della Orthodox Union, la più grande compagnia di certificazione kosher al mondo, il rabbino Joseph Grunblatt sostiene: «Non intendiamo sottintendere che le leggi kashrut siano da considerare regolamenti igienici e nutrizionali, anche se qualcuno lo ha sostenuto. Saremmo in difficoltà se dovessimo provare che l’osservanza kashrut faccia bene alla salute».
Di fatto, mentre i prodotti kosher sono sempre più ricercati, una parte dell’opinione pubblica critica quella che alcuni reputano come una semplice «moda». Un articolo sull’ascesa del mercato kosher pubblicato il mese scorso sul «New York Times» ha generato moltissime reazioni da parte dei lettori. Se in molti hanno applaudito gli standard dei prodotti kosher e la leggendaria bontà del pollo prodotto secondo la normativa kashrut, altri hanno deprecato le modalità di macellazione (che non sono conformi alle leggi americane che richiedono lo stordimento degli animali prima dell’uccisione), ritenute barbariche e sanguinarie. Di tutti, Pat dal Tennessee è probabilmente quello che ha centrato meglio la questione: «I würstel Hebrew National sono ottimi e secondo me questa è l’unica cosa che importi».
http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:398
Koshermania.
Una Scelta Strategica Per Chi Esporta Qualità.
Parla il coordinatore dell’Italy Kosher Union
Una scelta strategica per chi esporta qualità
Olio, vino, pasta, pomodori: in molti paesi la certificazione aiuta a vendere
A testimonianza che la certificazione Kosher è un biglietto da visita per le esportazioni che sempre più aziende italiane si convincono a inserire nel proprio portafogli, l’intensa attività di diverse società che anche nel nostro paese offrono questo tipo di servizio. Tra queste, c’è la IKU (Italy Kosher Union), realtà giovane e dinamica, una decina di anni di vita, che basa il suo lavoro, come ci dice il coordinatore Piha Meyer, sull’applicazione dei rigorosi principi della Torah con le più moderne applicazioni tecniche e scientifiche a disposizione per i controlli nel settore agroalimentare.
Dottor Meyer, perché un’azienda agricola italiana dovrebbe essere interessata alla certificazione Kosher?
Dovrebbero esserlo tutte quelle aziende, piccole e grandi, produttrici o trasformatrici, che vogliano prendere in considerazione l’idea di rendere più efficace la loro presenza su alcuni importanti mercati esteri. Gli Stati Uniti, in questo caso, rappresentano l’esempio più concreto e, per le aziende italiane, sono portatori di un doppio valore aggiunto. Innanzitutto per la vastità dell’area, la presenza di milioni di persone che seguono la religione ebraica e di altrettanti che identificano i prodotti certificati kosher come sinonimo di prodotti salubri e di qualità, indipendentemente dalle loro idee confessionali. Il secondo valore aggiunto è insito nell’immagine del prodotto italiano, che in quel paese è ovviamente rispettato, conosciuto e apprezzato. Tanto per capire, negli Stati Uniti ci sono catene della grande distribuzione che vendono i loro prodotti di marchio (quelli che da noi sono i prodotti Coop, Carrefour ecc.) con tanto di certificazione Kosher…
Che servizi assicurate a chi si rivolge all’IKU?
Proponiamo una metodologia di lavoro che punta sull’innovazione e il rigore. La certificazione Kosher è sempre stata assicurata dai rabbini. Un tempo, per il tipo di lavorazioni tradizionali tipiche del mondo agricolo, questo bastava e avanzava. Oggi le lavorazioni son più complesse, le aziende utilizzano macchinari, spesso si miscelano prodotti di origine e composizione diversa. Ecco quindi che la strumentistica consente di effettuare un’indagine suppletiva, permettendoci la certezza del risultato grazie all’uso di strumenti efficaci. Questo ovviamente vale di più per la certificazione nelle grandi industrie di trasformazione alimentare, che utilizza additivi una volta sconosciuti. In questo caso arriviamo anche ad effettuare analisi del dna per verificare origine e caratteristiche animali eventualmente presenti in un composto.
Qual è il vostro cliente tipo?
È ovvio che il Kosher in Italia, seppur in costante crescita, rimane un settore di nicchia, per il quale è necessaria ancora un grande sforzo di comunicazione. Spesso, infatti, si rivolgono a noi aziende attirate dalla prospettiva del business, magari basata sul passaparola, che poi dimostrano di non avere le idee chiare o reali esigenze rispetto alla certificazione. Se invece le caratteristiche dell’azienda e dei prodotti ben si adattano alla penetrazione in mercati molto ricettivi rispetto alla certificazione, allora questa scelta diventa strategica. Potrei citare aziende che hanno sistemato il bilancio annuale dopo essersi certificate. Altre che sono letteralmente uscite dal baratro della crisi. È chiaro che non consiglierei di certificarsi a ogni costo al titolare di un’azienda che magari produce biscotti anonimi che negli Stati Uniti non possono diventare competitivi solo per il fatto di essere kosher. Chi produce “Made in Italy” come pasta, vino, olio, conserve, può invece guardare a questa opportunità con grandissimo interesse, contando anche sul fatto che certificare un prodotto agricolo primario non è complesso come fare quest’operazione per un prodotto industriale che prevede una complessa miscela di ingredienti. La nostra seppur giovane storia è piena di casi di successo tra le aziende che abbiamo seguito. Clienti che si sono fidelizzati, instaurando con noi rapporti e richieste di servizi che continuano negli anni.
Per informazioni: italykosherunion@hotmail.com – www.italykosherunion.it